Esposizioni

2006     VARIAZIONI RODCHENKO

Materiali fotografici in trasformazione



La mostra Variazioni Rodchenko è frutto di un seminario creativo sull’inquadratura. Da novembre 2005 ad aprile 2006 i fotografi coinvolti (alcuni ancora oggi con ricerche in corso), hanno indagato le potenzialità espressive e comunicative dell’inquadratura, affrontandola come spazio della rappresentazione e modo individuale di visione del mondo.


Alexandr Rodchenko, Scale, 1929
Alexandr Rodchenko, Scale, 1929

 

Da questa classica immagine del fotografo russo, movendo per accumulo di suggestioni e libere associazioni visive, è scaturita una sinfonia di immagini che ha trasformato il tema iniziale in un materiale nuovo ed originale, intrecciando nelle nuove metafore visive la memoria delle forme ispiratrici.

 



La mostra è strutturata, a sua volta, come una ulteriore serie di variazioni sul tema. E’ composta da tre aree simultanee di rappresentazione: l’esposizione, scandita – come fosse una partitura - in cinque movimenti, dove è lo sguardo dello spettatore a farsi itinerante davanti alle stampe fotografiche; la proiezione di tutte le immagini prodotte nel corso del laboratorio e non confluite – per motivi di coerenza generale - nell’esposizione a stampa.

 

In questo caso sono le immagini a muoversi davanti allo sguardo dello spettatore; l’installazione “Colazione da Rodchenko” che ospita, specularmente, immagini fotografiche accanto agli stessi oggetti fotografati, lasciando lo spettatore in una sorta di spaesamento percettivo, in bilico tra realtà e rappresentazione.

 

Affianca la mostra, la performance “Variazioni metamorfosi metafore”, realizzata da Ilaria Canobbio, Elena Laffi, Antonio Marfi e Paolo Valassi di OltreFoto, nella quale gli autori, mescolano linguaggi visivi, verbali e musicali per suggerire l’idea della variazione come metafora per rappresentare la realtà e i suoi perenni mutamenti di stato.


2008     IMPRONTE D'ARIA


Le fotografie sono state realizzate nell’estate 2007 a Pella (Lago d’Orta), in occasione della rassegna concertistica "Armonie sul lago" organizzata dall'Associazione Ensemble "Isabella Leonarda" di Novara e curata, per la direzione artistica, dal Maestro pavese Maurizio Schiavo.


Impronte d'aria
Impronte d'aria


Fotografia e Musica: strana coppia, all’apparenza senza connessioni. Eppure, questo binomio improbabile, è stato vissuto come principio creativo di questa mostra, con la complicità di Gianni Rodari e della sua idea di binomio fantastico. Sette concerti e un balletto eseguiti nelle chiese del paese e nella piazzetta del lungolago, non lontano dai tavoli all’aperto di un ristorante e sotto l’insegna dell’Ufficio Postale. Fotografie di prove e concerti in luoghi dove suoni musicali si mescolavano a quelli vitali del paese e della stagione: chiacchiere, la risacca delle onde, il fruscio degli alberi, la sirena del vaporetto, un bagnante che torna a casa. In uno strano impasto di luci: riflettori, bagliori di tramonto, lampioni, riflessi di luna sul lago. Un contesto straniante, un’invenzione naturale: uno stimolo eccitante.

 

E’ stato in uno di quei momenti, mentre l’orchestra suonava immersa nel ritmo delle cose, che improvvisamente sono riemerse le parole di Rodari (anche lui del Lago d’Orta, di Omegna, appena sopra Pella):

 

Occorre una certa distanza tra due parole, occorre che l’una sia sufficientemente estranea all’altra, e il loro accostamento discretamente insolito, perché l’immaginazione sia costretta a mettersi in moto per istituire tra loro una parentela, per costruire un insieme (un binomio fantastico) in cui i due elementi estranei possono convivere”.

 

Sono parole della Grammatica della fantasia, che hanno aperto la porta allo sguardo, per vedere le impronte sonore lasciate dalla musica: per vederle nell’aria, ma soprattutto in mezzo alle case, sul pelo dell’acqua, nelle navate, nei giardini, sulle panchine e dentro i portoni. O nello sguardo di chi ascolta. Parole per fotografare la musica. Per vederla come fosse vento, perché, come il vento, la musica è visibile solo nelle cose che avvolge e sulle quali si deposita. Una strana caccia visiva, in cerca di tracce impalpabili lasciate dai suoni di strumenti antichi, mischiati ai suoni della vita quotidiana.

 

Un archetto vibrante, un corpo che danza rivolto al lago; lo sforzo gonfio della guancia che soffia nel corno o le mani commosse che applaudono. I piedi delle ballerine illuminati da una luna artificiale; il ricciolo di un violoncello che assomiglia ad un orecchio.

 

Tracce, fotografie: piccole impronte (visive) che vivono in un loro tempo concentrato, minimo, ma sufficiente ad afferrare altre impronte (della musica) che vivono, invece, un tempo più vasto, dilatato.

 

Fotografia e Musica: strane impronte, all’apparenza senza connessioni, ma entrambe impegnate ad afferrare ciò che di effimero o di inafferrabile si nasconde nel tempo e nella vita.

 

Fotografie e Musica: impronte d’aria, binomio fantastico.


2008     IN CERCA DI ACHAB

Navigazioni e derive del volto fotografico


La mostra è frutto di un laboratorio dedicato al volto in fotografia, a partire da alcune idee contenute nel saggio che Tullio Pericoli ha dedicato al ritratto in pittura (L’anima del volto).

Primo passo di questo lavoro: imparare ad osservare il volto, ovvero il tentativo di dar vita ad una ecologia dello sguardo, una pulizia visiva per sgombrare il campo visivo e la mente da luoghi comuni e automatismi.

 

Per questo il volto è stato scomposto nei suoi elementi costitutivi di base: linee, forme, volumi, luci, ombre. Ne è scaturito un volto “esploso” in frammenti, decostruito; un volto visto, finalmente, per quello che è: una morfologia mobile. La prima fase della ricerca, dunque, è stata una navigazione in cerca dei segni del volto, prima ancora dei segni sul volto.

 

Secondo passo: imparare a leggere il volto, ovvero rimetterne insieme i frammenti, ricostruire il volto disperso (e ritrovato) per poterlo guardare senza pregiudizi. Per poterlo ascoltare. Un volto che, essendo prima di tutto Forma, mostra i tratti che lo compongono, i propri segni, come fossero pagine da leggere, da decifrare.


Cinzia Moroni
Cinzia Moroni
Elena Laffi
Elena Laffi
Gino Giacobone
Gino Giacobone

 

Ma a questo punto i fotografi di OltreFoto hanno cominciato a porsi alcune domande: come ascoltare il volto? Come ascoltare le frasi, le urla o le storie tracciate da quelle linee-bocca, curve-occhi, solchi-rughe? In altre parole, i fotografi davanti al volto come iscrizione da decifrare si sono trovati nella necessità di interrogarsi sul proprio mezzo espressivo: cosa può fare la fotografia davanti al volto?

 

Così, quella che sembrava una tranquilla esplorazione, una navigazione sicura verso le storie contenute nei volti si è trasformata in un incontro con un Maelström di domande. Improvvisamente il clima è cambiato, s’è fatto tempestoso: il volto si è dilatato, è diventato immenso. Un luogo ben più vasto delle apparenze: terminale di tutto il corpo, gorgo in cui vorticano presente e passato, l’oggi e la storia. Un luogo, ad esempio, dove le fatiche di una vita confluiscono in una ruga; o dove, nelle pieghe degli occhi, affiorano i tratti dei padri, della genealogia individuale.

 

Il volto è diventato improvvisamente grande, troppo grande e la fotografia, il minuscolo tempo fotografico, troppo stretti per contenere in un solo e singolo attimo qualcosa di così smisurato, intenso e profondo.

 

Terzo passo: prendere atto di questa rotta frantumata, di questa deriva e tradurre in equivalenti visivi le domande e le inquietudini emerse nello sguardo. “In cerca di Achab”, dunque, è il resoconto di queste interrogazioni davanti a un nuovo paesaggio: volti resi irriconoscibili (perché inafferrabili) dal mosso, dalla tecnica del panning o dallo sfocato.

 

Volti resi illeggibili perché diluiti nell’acqua o sovraesposti sino al limite della bruciatura. Oppure ritratti che contengono altri ritratti: la propria storia riepilogata attraverso altre fotografie; doppie esposizioni che ritraggono in una sola immagine momenti diversi; o autoritratti che, sempre in doppia esposizione, sovrappongono ai segni di oggi quelli fantasmatici della madre.

 

Enrico Prada

Direttore Artistico di OltreFoto


2009     PAESAGGI INVISIBILI


La mostra è frutto di un laboratorio creativo dedicato ai luoghi in fotografia con lo scopo di misurare con i fotografi il loro grado di ascolto e capacità di dialogo con il paesaggio.

Come nel precedente laboratorio dedicato al volto, anche in questa occasione il primo passo è stato quello di decostruire i luoghi osservandoli nella loro morfologia e composizione materica. Ogni fotografo ha adottato un frammento di paesaggio e lo ha seguito per mesi, in stagioni diverse, osservandone le trasformazioni, nelle luci, nelle ombre, nelle nebbie, nel vento e iniziando a percepire il movimento, la vitalità. In questo modo sono arrivati a scoprire un paesaggio mobile, a pensare e vedere i luoghi non come paesaggi “appresi”, incrostati di abitudini e stereotipi visivi, bensì come soggetti nuovi in trasformazione.


Lorenza Traversi
Lorenza Traversi

 

LE DOMANDE

Dopo questa pulizia dello sguardo (e della mente) è stato possibile formulare le domande con le quali il laboratorio, e questa mostra, sono stati costruiti. Ci siamo chiesti, ad esempio, cosa accade al nostro sguardo e nella nostra mente quando guardiamo un paesaggio. O con quali criteri scegliamo un paesaggio da ritrarre e quali requisiti deve avere per diventare oggetto di attenzione. E ancora: spostandoci noi nello spazio, quale tre gli infiniti paesaggi in movimento che si susseguono stratificandosi nella visione decidiamo di rappresentare? E perché proprio quello? Quale equilibrio o miscela è stata, anche inconsapevolmente, raggiunta? Ci siamo interrogati su come agisce la memoria davanti ad un paesaggio, e in che modo il passato s’infiltra nei luoghi mescolandosi al presente dell’attualità. Ci siamo interrogati su come funzionano le storie contenute nei luoghi e su come ritrarle per rendere percepibili o, almeno, su come evocarle per lo spettatore.

 

Gianfranco Mula
Gianfranco Mula

COSTRUTTORI DI PAESAGGI

Così siamo partiti in cerca di risposte e la prima l’abbiamo incontrata nella Affinità Elettive: ci siamo resi conto che, come i personaggi del romanzo di Goethe, siamo tutti “costruttori di paesaggi”. Costruiamo paesaggi con lo sguardo, anche inconsapevolmente o per abitudine: ritagliamo con gli occhi angoli che amiamo o ci muoviamo lungo percorsi quotidiani che ci sono familiari. Oppure cancelliamo intere geografie dal nostro sguardo e dalla nostra mente: brutte periferie che ignoriamo, zone industriali che rimuoviamo, ccase cantoniere arrugginite e in disuso, cantieri fangosi.


Gino Giacobone
Gino Giacobone

Costruiamo paesaggi con il nostro umore, con i nostri stati d’animo: poetici, cupi, indifferenti, leggeri, tempestosi, sereni, gioiosi, malinconici. In questo modo diamo vita ad una geografia emozionale fondata sui sentimenti che va a sovrapporsi a quella reale. E costruiamo paesaggi con la memoria, prelevando dai depositi del tempo frammenti di luoghi, momenti, presenze, fantasmi.

 

Abbiamo scoperto che, come costruttori di paesaggi, accumuliamo giorno dopo giorno immagini di luoghi mentali, desiderati, odiati, ricordati; di storie “reclamate” -come dice Wim Wenders- dai luoghi: un immenso deposito di paesaggi nascosti, invisibili...

 

CON LA COMPLICITA’ DI ITALO CALVINO

 

...un’invisibilità che abbiamo provato a mostrare, con la complicità delle Città Invisibili di Italo Calvino, di cui questa mostra è debitrice, non solo nel titolo. Si, perché con Calvini abbiamo trovato una prospettiva dalla quale ritrarre i nostri paesaggi: quella di Marco Polo che riporta a Kublai Kan notizie, resoconti e immagini di territori ignoti all’imperatore eda lui ignorati, mai visti.

 

Ed è così che questa mostra è stata ideata, con immagini composte di suggestioni e di aloni più che di linee nette, a formare una mappa simile alle “carte stellari”, che riportano approssimazioni di paesaggi, suggerimenti di luoghi che è possibile avvicinare solo con lo sguardo della mente. Da consegnare alla fantasia dello spettatore.

 

Tutto questo per tentare di salvare qualcosa dall’annebbiamento dello sguardo quotidiano.

Per evitare - come a Fillide, la quarta de “Le città e gli occhi”- che “Milioni di occhi s’alzano su finestre ponti capperi ed è come scorressero su una pagina bianca.”


2011     QUELLA SOTTILE INQUIETUDINE


L’inquietudine cui allude il titolo della mostra è uno stato che muove in due direzioni: un’inquietudine che è nei soggetti ritratti e un’inquietudine che è nello sguardo dei fotografi.

 

La prima è quella generata dalle cose quando sono estrapolate dal loro contesto abituale (mani senza corpo; corpi senza volto; architetture turistiche cui è stata sottratta ogni traccia di colore locale) o che avvolge quelle giunte al termine della loro storia (fonderie in disuso; paesi fantasma; residui bellici abbandonati nelle sabbie etiopiche). E’ l’inquietudine dello straniamento, delle certezze che vengono meno di fronte ad un ordine che è stato ribaltato; è lo smarrimento malinconico davanti alla vanità ci ciò che si è consumato.

 

La seconda, invece, è più sottile e coinvolge l’atto fotografico: l’inquietudine di non riuscire a mettere ordine, attraverso l’immagine, nella vertiginosa insensatezza del mondo. Perché lo sguardo fotografico è etimologicamente inquietus, non quieto: che non si appaga mai e, proprio per questo, fonte continua di energia.


Andrea Tomas Prato
Andrea Tomas Prato
Lorenza Traversi
Lorenza Traversi

Stefano Boschiroli
Stefano Boschiroli
Giorgio Ghersani
Giorgio Ghersani
Paolo Valassi
Paolo Valassi


Questi sono i fili che legano i cinque progetti presentati dai fotografi di OltreFoto, frutti sia del laboratorio annuale dedicato alla costruzione di un portfolio personale (Andrea Tomas Prato, Lorenza Traversi) sia di ricerche individuali indipendenti (Stefano Boschiroli, Giorgio Ghersani, Paolo Valassi).

 

In queste immagini i fotografi hanno raccolto frammenti di realtà (le mani di Lorenza Traversi; le architetture di Giorgio Ghersani); schegge di corpi inquadrate come poveri relitti abbandonati dalla risacca marina (Paolo Valassi); rovine industriali (Andrea Tomas Prato) e belliche (Stefano Boschiroli) e dopo averle salvate (con lo sguardo) dall’oblio, hanno cercato di ridare loro (con l’inquadratura) ancora un briciolo di significato. O ne hanno constatato la definitiva e malinconica insensatezza di ruderi abbandonati fuori dalla storia.

 

Tutto questo grazie all’energia di uno sguardo non quieto, inappagato e in continua ricerca.


2012     SESTETTO PER UN LAGO


A volte i progetti nascono dalle occasioni più semplici e impensate, come questa mostra. Le cose, nel breve racconto di Enrico Prada divenuto poi testo di presentazione delle fotografie, sono andate più o meno così...

Poco più di un anno fa mi era stata commissionata una serie di fotografie del Lago d’Endine, nella bergamasca Val Cavallina. Per quel lavoro avevo non solo carta bianca per ciò che riguardava soggetto, stile, impaginazione delle immagini, ma mi era stata offerta anche la possibilità di invitare, a mia volta, altri fotografi per dare forma ad un affresco a più mani di quei sei chilometri di lago. Per questo motivo avevo chiesto ad alcuni fotografi di OltreFoto (Giorgio Ghersani, Paolo Valassi, Stefano Boschiroli, Franco Castellari e Andrea Tomas Prato) di partecipare, con il loro contributo, alla illustrazione del Lago d’Endine da punti di vista fotografici diversi. E così è stato.


Sestetto per un lago Paolo Valassi
Paolo Valassi
Sestetto per un lago Giorgio Ghersani
Giorgio Ghersani
Sestetto per un lago Franco Castellari
Franco Castellari


Come a volte accade, però, di quella commissione non se ne seppe più nulla. In compenso, ci siamo ritrovati con un corpus strutturato e coerente di immagini tra le mani. Anzi, liberati dall’incombenza “illustrativa”, ci siamo resi conto che il vero soggetto del nostro lavoro non è mai stato il luogo in sé (il lago), ma era, fin da subito, il nostro sguardo. Avevamo, insomma, spostato l’accento della nostra attenzione visiva dal cosa al come (fotografare).


Sestetto per un lago Andrea Tomas Prato
Andrea Tomas Prato
Sestetto per un lago Stefano Boschiroli
Stefano Boschiroli
Sestetto per un lago Enrico Prada
Enrico Prada


Questa, in breve, la genesi del nostro lavoro, composto di immagini che funzionano come una frase musicale suonata da strumenti diversi. La nota è la stessa (il lago), ma il timbro è quello proprio e caratteristico di ogni singolo strumento.

 

E’, in altre parole, una mostra di variazioni visive su tema: come le immagini high key di Valassi, che mostrano il lato fiabesco del lago; o il poetico reportage in bianco e nero, alla Willy Ronis, di Prato e di Castellari; gli appunti visivi di Ghersani, che adotta uno strumento “povero” come la Polaroid per raccontare la suggestione di Endine; o le immagini in forma di dittico di Boschiroli e Prada che fanno dialogare, al loro interno, il particolare e l’insieme, il presente e la memoria.